recensione Comunella di Salvatore Tocco
a cura di Giovanni Ruffino

Questa singolare invenzione narrativa mi ha catturato per alcuni giorni mentre mi accingevo a licenziare per la stampa un mio saggio sui soprannomi, sicché non ho potuto fare a meno di citare l'ancora inedito Comunella, del mio vecchio e caro amico Salvatore Tocco. Una citazione obbligata, dal momento che questo testo rappresenta - nell'ambito della narrativa degli ultimi anni a me nota - il caso più eclatante : una fantasmagoria onomastica, una apoteosi soprannominale che si esprime attraverso sequenze incalzanti. Devo però ammettere che non riuscirei a penetrare la trama narrativa di questo libro, se fosse deprivata dei reticoli soprannominali, poiché il soprannome non può considerarsi una mera etichetta, ma un autentico contrassegno sociale. Come ho più volte sottolineato, attraverso l'osservazione degli antroponimi popolari é infatti possibile esplorare, ricostruire, comprendere i complessi proscessi socio- culturali che hanno caratterizzato il costituirsi di una comunità.
Nel nostro caso, la comunità é il comune di Comunella: triade lessicale che discende da COMMUNIS, da intendere qui nella struttura prototipica CUM MUNUS riferita al compimento di un incarico MUNUS con altri individui della medesima comunanza. E qui la comunanza può ben attribuirsi alla gente di Comunella, lessotipo bivalente, leggibile sia come trasparente toponimo, sia come sinonimo edulcorato di tresca. E dire che la prima attestazione di comunella in lingua italiana di Annibal Caro (siamo nel XVIsecolo) è attribuita a due supereroi come Castore e Polluce.
Nella nostra omunella, però, non ci sono supereroi. La Comunella che Salvatore Tocco ci propone è un turbinio di vicende e personaggi che si muovono entro un riconoscibile perimetro nel quale i servizi, tutti inefficienti, sono «asserviti a interessi elettorali di medici, infermieri, commercianti, impiegati pubblici, che avrebbero utilizzato quel potere per sistemare familiari e parenti.»
C'è di tutto, dunque:competizione elettorale, intrighi, mafia, speculazione edilizia, sesso, maldicenza paesana, clientelismo, trasformismo, "ammazzatine"; e molteplici sono le chiavi di lettura alle quali si prestano gli impressionanti grovigli narrativi che scaturiscono ora da ricostruzioni fantasiose, ora dalla più stridente attualità, riconoscibile in personaggi della politica o della criminalità, o riferite a problemi sociali come la sanità o la disoccupazione.
Una narrazione che si alimenta di una sottile ironia, ravvivata da una prosa che attraversa efficacemente tutte le varietà del repertorio, dal dialetto locale all'italiano popolare e regionale, sino all'italiano autenticamente letterario, che si alimenta qua e là di propagginazioni camilleriane e vigatesi. Ed è a tal proposito da sottolineare che gli inserti dialettali si armonizzano in architetture linguistiche di grande effetto.
Riprendendo, in conclusione, la componente dei cognomi e dei soprannomi, non si può sorvolare sulla matrice terrasinese di questa anagrafe antroponimica reinventata, ma non tanto da sembrare irriconoscibile:«le 'nciurie sembrano emergere fresche fresche da un passato mai dimenticato», ribadisce l'autore, il quale vuole dirci che il passato, - i fatti,i perrsonaggi sino ai percorsi della soprannominazione - riemerge sempre, o quasi sempre. A noi il compito di ripensarlo e riviverlo nei mille modi possibile, anche sorridendo.
Prof. Giovanni Ruffino